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RÊVERIES DI SEDICI ARTISTI EUROPEI E STATUNITENSI



Exposition Enigma.  Galerie il Ponte.  Rome



"Pare evidente che gli enigmi e gli indovinelli hanno un fascine sul pensiero. Il gioco consiste nel trovare ciò che è nascosto. Il gioco non concerne pero le immagini il cui senso rimane "sconosciuto". Questo pensiero di Magritte potrebbe significativamente introdurre "Enigma", una  mostra ideata da Antonio d'Avossa, presentata alla galleria il Ponte di Roma in novembre e alla Brompton Gallery di  Londra nel prossimo febbraio 1986. Vi sono presenti, senza l'intento, ci sembra, di costituire un ennesimo raggruppamento, sedici artisti europei e statunitensi la cui opera, all'interno dei rispettivi, è attraversata da un'attenzione alla imagination, ai temi dell'apparizione e dell'allusività onirica. La mostra documenta l'interesse che si viene ridestando da parte dei giovani artisti per un'area che potremmo situare tra simbolismo, metafisica e surrealismo, secondo modi peraltro per nulla nostalgici ma al contrario, come cercheremo di evidenziare più avanti, vivacemente inseriti nel dibattito contemporaneo.

Condizione paradossale è quella dell'opera d'arte: il suo compiersi come apparenza assoluta, come obiettivazione che appartiene totalmente al mondo è al tempo stesso lo schiudersi della sua dimensione di invisibilità, in cui l'opera si rivela come interno divenire, movimento infinitamente problematico verso sè. Come un oxymoron l'opera sfugge ad definizione sintetica in quanto vive come tensione di opposte polarità, reale/irreale, pensiero/empiria, ognuna costituentesi attraverso l'altra.
In ciò l'opera è manifestazione, nel senso più pieno di apparizione improvvisa di un nuovo essere, tentativo di avvincere nella fuggevolezza del proprio apparire l'inesauribile generatività del mondo, rivelando in figura come labirinto di interrogazioni, enigma che si riformula continuamente e la cui soluzione  non può essere che l'auto investimento che  rimanda alla costituzione dell'enigma stesso, cioè all'opera.
Nel saggio che apre il catalogo di Enigma, Antonio d'Avossa, interrogandosi sui nodi del rapporto tra opera e linguaggio critico, pone la questione di una scrittura che nella propria autonoma consistenza, nel costituirsi come disciplina del discorso, individui la condizione di una possibilità cognitiva dell'opera; se infatti "il carattere di enigma dell'opera d'arte è riconoscibile come costitutivo laddove esso manca e le opere che si risolvono senza residui in osservazione e pensiero non sono opere d'arte", occorrerà osservare come "il carattere di enigma sopravviva all'interpretazione che ne ottiene la riposta" rendendo vano il "saper rispondere" di una critica che, come Edipo, finisce per accecarsi per non volere accettare la "verità" dell'inganno.
Il carattere enigmatico dell'opera d'arte pone problematicamente la stessa conoscibilità di essa; chi conosce l'opera, rappresentandosela in pensiero, anche non la conosce in quanto più s'approfondisce la conoscenza, più s'accresce il senso della sua inedeguatezza. L'opera non fornisce riposte, ma al contrario moltiplica le interrogazioni. Conoscere l'opera non può essere dunque che risolvere l'enigma ed al tempo stesso conservarlo, ovvero dare ragione della insolubilità.
La scrittura critica, caduta l'illusione di rinvenire il fondamento dell'opera, dovendo trovare entro sè la forma della propria validità, si darà come "infinita approssimazione",  discorso che "non dice, nè cela, ma accenna", cosciente della propria finitudine, "percorso aggirante" in grado di colloquiare con l'opera.
"Il sogno della notte non ci appartiene. Le notti notti non hanno storia. Il sogno notturno disperde il nostro nemmeno le ombre di noi stessi... è la fuga assoluta , la rinuncia di tutte le potenze dell'essere, la dispersione di tutti gli esserti del nostro essere". Cosi Bachelard ha potuto distinguere il sogno della note -l'annullamento imperfetto dell'essere, il negativo che rimanda perpetuamente al meccanismo della propria assenza dal sogno diurno, dalla rêverie, che è memoria presente, distanza  e insieme coscienza di sè e del mondo.
Ed a cosa può essere avvicinata l'arte se non ad un sogno diurno, ad una rêverie appunto? Come questa l'arte determina il consolidarsi dei dati immaginazione; scopre nelle indiscipline del linguaggio l'impronta di una diversa possibilità di conoscenza, apre "tutte le prigioni dell'essere perchè l'umanità abbia tutti gli avveniri possibili".

Il surrealismo è tra i movimenti d'avanguardia quello dalla "trasversalità" più accentuata, per la profondità e la diffusione della sua influenza; è per o negli Stati Uniti che lo stimolo surrealista ha determinato l'eco più persistente: l'arte americana dal dopoguerra in poi è stata profondamente segnata da esperienze che hanno attino suggestioni tecniche, spunti teorici dal surrealismo; basti pensare all'aspetto gestuale/ automatico dell'action painting o allo straniamento ed all'assemblage oggettuale praticati sistematicamente dal new dada e  dalla pop art.
È pero certamente sorprendente l'emergere, in questi ultimi anni, di una serie di artisti statunitensi che presentano un riferimento immediato ed esplicito all'imagerie del surrealismo storico. Stiamo parlando di quel raggruppamento, per il quale alcuni critici hanno proposto la definizione di New surrealism, nato nelle gallerie dell'East Village di New York e quindi rapidamente rimbalzato in Europa. Angelo Trimarco, in un recente saggio dedicato appunto al New Surrealism, ha messo in evidenza le analogie e le differenze che presentato Geoge Condo, Peter Schuyff, Thierry Cheverney e Steven Pollack (ai quali occorre aggiungere Jay Weiss e Bill Rodwell)  rispetto  al modello del surrealismo storico.
Se da un lato infatti gli artisti in questione ostentano un'assoluta indifferenza per le tensioni teoriche surrealiste -in questo pienamente  coerenti con un quadro contemporaneo che vede dappertutto un'esigenza di sfondamento rispetto ai modelli insieme alla pratica insistita della contaminazione, del pastiche stilistico- dall'altro, ridotta a repertorio di immagini, la pittura surrealista diviene parte di un gioco "tra sonno e veglia,  che la mescola all'imagerie pop, che poi non è altro se non l'immaginario tecnologico con i suoi misteri, le sue angosce, con la sua banalità ma anche con l'ossessiva drammaticità della sua iterazion. "L'aspetto kitsch di queste opere non è dunque casuale, ma è caratteristico di un'arte che sostituisce alla della ricerca della verità, e verità nell'arte è, kantianamente, esigenza del nuovo, dell'originale, nella ricerca di un equilibrio tra conoscere ad agire che si determina in base alle esigenze dell'epoca che si vive, l'uso di modelli prefabbricati,di clichées, in un'ironica nullificazione di qualsiasi illusione di originalità ed autenticità: il tradimento, l'infedelta divengono istituzionali.
Vediamo cosi il lucido esercizio di Geoge Condo, che annulla la residua fascinazione pittorica di Dali ed Ernst, in un totale disvelamento  del meccanismo rappresentativo, in una secchezza che non lascia scampo se non all'assurdo gioco dei rimandi interni.
Peter Schuyff mette in scena con ironico divertimento deliziosi spettacoli allusivi, memori certo di Arp e Miro, di illusorie profondità, salvo poi contraddirli con il comico disseminarsi di brandelli di geometria.
La spazialità indefinita di Thierry Cheverney, che recupera brani di Magritte e Prampolini, si carica nella sospensione temporale, di trasognata inquietudine, confrontandosi con i luoghi  impossibili di Sten Pollack, che mescola Tanguy al décor dei film di fantascienza.
Jay Weis pone, e qui è evidente il richiamo a Magritte, la questione dell'illusionismo pittorico, della contraddizione tra superficie e rappresentazione della profondità; utilizzando la convenzione del quadro-finestra Weiss riconduce l'affacciarsi sul mondo ad un affacciarsi, secondo la poetica bretoniana, sull'interno, sulla coscienza; ma se Magritte utilizzava lo scenario degli interni borghesi, dove i fantasmi della quotidianità, gli oggetti banali, i paesaggi stucchevoli divenivano il teatro del dramma inconscio, Weiss ci presenta i colori caramellosi, i panorami di un'America da telefilm, da cartolina ritoccata californiana.
Bill Rodwell recupera, dal vasto arcipelago della plastica surrealista, la poetica degli oggetti a funzionamento simbolico, degli inaspettati biomorfismi che spiazzano l'ooservatore costringendolo ad aprirsi all'indeterminato, all'inquietante.
Robert Shoen, che completa il panorama degli  artisti americani presenti in Enigma, è uno scultore che dà vita a presenze, immagini che recano sè le tracce dell'emersione faticosa dalla materia, e che nello spazio si realizzano attraverso tensioni, contrapposizioni di di masse, in un drammatico reciproco contrastarsi.

Se negli artisti statunitensi è, come abbiamo visto, evidente una forte carica ironica e dissacratoria che si  accompagna ad un atteggiamento fondamentalmente estroverso, nel caso degli artisti europei, al contrario, una disposizione più marcatamente riflessiva, volta all'esplorazione dei linguaggi più che al loro uso spregiudicato.
Nel caso dei tedeschi Hermann Albert e Peter Chevalier e dell'austriaco Mosbacher, nei quali agli imprevisti accostamenti di radice metafisica si uniscono reminiscenze simboliste e "novecentiste", prevalgono atmosfere di misteriosa sospensione, giocate sottilmente sul filo della memoria.
La pittura del francese Rurik stabilisce invece un diretto legame con gli strati profondi della coscienza liberando sulla superficie la pulsante dinamica del colore, che viene a costituire quasi un correlativo oggettivo dei moti e delle trasformazioni interiori, dandosi pero come struttura eminentemente visiva.
Lo spazio interminato delle opere di Parizia Cantalupo si popola di improvvise apparizioni, di miraggi; dialogando strettamente con Tangy ed Ernst, le immagini si realizzano come tensione indecidibile tra apparenza e realtà.
La minuzionsissima con tecnica cui il brasiliano (di origine italiana) José d'Apice realizza i propri lavori diviene una delle condizioni per l'emergere dell'incongruo, dell'assurdo nell'immagine, in cui alla massima descrittività fa riscontro l'ostinata assenza di un significato esplicito.
La scultura di Stefania Lubrani materializza stati ambigui, in cui  forme viventi e materia, presenze estranee ed esseri misteriosi sono fusi inestricabilmente, senza una logica che non sia quella di un'allucinazione meridiana.
Concludono la rassegna degli artisti presentati in Enigma due giovani artisti romani, Maurizio Pierfranceschi, i sottilissimi passaggi chiaroscurali che animano la superficie delle sue tele ne chiariscono il valore di schermi su cui si delineano le sottili tracce di processi mentali, in bilico tra il restare segni od acquistare una consistenza più marcatamente allusiva.
Le immagini di Andrea Fogli acquistano vita sotto lo sguardo, rivelando se stesse come momenti di solidificazione temporanea di un continuum di pensiero che si affaccia dalla superficie; al di là dei possibili riferimenti alla forza immaginativa di Redon o all'infiammato cromatismo di certe carte di Nolde, la pittura di Fogli giunge a quella condizione sintetica in cui immagine e pensiero nascono al mondo allo stesso tempo alimentandosi reciprocamente.



Stefano Chiodi







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