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E' DI SCENA LA GEOMETRIA


I cataloghi non sono all'altezza delle rassegne


Ritroviamo con emozione, entrando negli ampli spazi della Rotonda milanese, le immagini forti del pittore che ci colpi, nei suoi esordi publici con Ceretti e Romagnoni al benemerito Centro San Fedele, intorno alla meta degli anni Cinquanta; e che ci entusiasmo, persuadendoci con la singolare violenza e preziosità del suo pop art all'italiana, quando in una personale al l'Eunomia comparvero i suoi profeti; si era nel 1969, negli anni caldi della contestazione, e bene spesso in quel periodo artisti e leggiadri, si misuravano con temi cosidetti impegnati.

Ma Guerreschi aveva le carte in regola, per aver dalle prime battute della sua carriera affrontato argomenti di ardente impegno morale e sociale, immergendosi nei problemi della realta urbana, specie quella milanese; né avrebbe mai dimesso, assieme alla passione di una ricerca formale sempre più esigente, la volontà di misurarsicon situazioni storiche ed esistenzialiagre ed inquietanti.

Nel bel testo in catalogo Barilli, mentre inquadra con lucidità e ampio respiro la figura di Guerreschi nella situazione italiana ed europea, sottolineandone le differenze dal pop art di scuola romana, ma anche le peculiarità nel contesto degli artisti settentrionali a lui affini, spegia che la mostra era stata messa in programma nel 1985, prima che l'artista venisse immaturente a mancare, e che quindi essa non intende avere il significato di una ricapitalzione esauriente.

In realtà te fasi più importanti della vicenda di Guerreschi sono tutte documentate, ariche se l'accento è posto più sull'ultima produzione, a testimoniare di un messaggio non esaurito. Forse si poteva compiere uno sforzo maggiore e offrire daveto una mostra-omaggio all'artista, che ha anche lasciato significativi scritti  di poetica.

E a questo punto riteniamo necessario apprire una parentesi polemica: i cataloghi delle  pubbliche mostre stanno diventando sempre più simili ai cataloghi delle mostre private, nel senso che non se ne differenziano per una maggiore accuratezafilologica, per empieza di dati,  per rigore di taglio; anzi, molte volte le parti si invertono. Cosi questa impressa biennale della Besana viene soretta da strumenti informativi approssimati e sciati; e nel caso del catalogo di Guerreschi, ai due ottimi saggi fanno seguito appariti rozzi: un elenco di mostre senza discrimine d'importanza a una bibliografia lacunosa , casuale,  per metà insignificante e per l'alttra metà inutilizzabile.

Né andiamo molto meglio per l'altro catalogo, quello della mostra  Nuove geometrie curata da Caroli, che si acompagna alla prima secondo la formula di "Besanaottanta". E' ben vero che qui, non trattandosi di una personale, è giustifica l'informazione più spedita sui singoli artisti: e ci si spiega anche perché al solo Alessandro Mendini sia riservata una lunga biografia; Mendini è inserito in questo gruppo come un caso a sé, appartenendo a una generazione precedente.

In ogni caso, i supporti esplicativi offerti dal catalogo sono esilissimi, al di là del buon apparato fotografico:anche i testi di Caroli e Grundmann, vivaci e intelligenti, se la sbrigano in fretta. Più o meno, da quanto abbiamo capito, la loroopinione è questa: gli artisti ragruppatihanno in comune la predilezione per una sorta di nuovo astrattismo geometrico (in verita alcuni, come Rossano o Kowantz, non offronomolti appigli a questo tipo di lettura); tale astrattismo è la prevedibile, rituale, meccanica risposta "fradda" (usiamo con piaccere una terminologia cara a Barilli) alla "calda" del neoespressionismo con la transavanguardia e i neoselvaggi.

Nel teorizzare questa immancabile pendolarità di situazioni Caroli sbuffa, e non ha torto. Ma intento bisogna vedere se le cose stiano proprio cosi, semplicisticamente ; giacché il pendolo della storia non ritorna mai al punto di partenza; epoi giacché gli artistiqui raccolti sono stati degni di esserlo, avremo gratito più approfondite motivazioni delle scette.

I modelli di riferimento dei neo-geometrici (tutti suppergiu treteni e quasi tutti italiani o austriaci) sono per taluni (Asdrubali, Cheverney, anche Egerer)  gli astratti degli anni Settenta; altri rivisitano l'astratismo storico (Halley, per esempio, e il bellissimo Rainer); Mendini rinventa il futurismo d'evasione, tra Balla e Depero, utilizando con maggiore liberta una spiritosa formula gia usata nel design. Nel complesso il panorama è piacevole e, come dire, rassicurante.

Quanto infine alla logica dell'accopiamento di questa mostra con quella di Guerreschi, non pretende di esseci, se non in termini di opportunita immediata.




Rossana Bossaglia. Il Corrire della Sera. 24.12.1986




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